Il Borgo

I gozzi
Quattro case di due piani dopo il Ponte sul Lambro raggrumate di umidità,

qualche portichetto pieno di carabottole, negozietti ben puliti di artigiani, cortili e

cortilini quadrati, rotondi, bislunghi, sagomati madonnine infiorate sul muro,
il campanile che suonava sovente: siamo arrivati ai rione dei Gozzi
di cento anni fa. Borgo dei Topi, dietro ai Servi, Casarino, Stradella,

erano una discreta coda alla via principale.

 

Però abbiamo lasciato indietro il di più, la vera bellezza rara, la filigrana genuina,
la corona preziosa che hanno messo addosso: li hanno chiamati i Gozzi!

Buonagente.

Lavoratori come i tangheri.

Quieti come agnelli, tra la trippa e la pipa: ma il merito più grosso era quello di essere i Gozzi.

Sarà stata l'acqua dei pozzi, sarà stata l'aria di Lodi, fatto sta che avevano il collo rustico e ben grosso.

 

Ma prima di partire e di andare a casa, vi dico io la verità chiara chiarissima.

 

Vicino ed intorno alla chiesa dei Servi sono sempre venuti i fittabili sui birocci imbellettati,
sui landò lucidi, sui calessi imperiali, sui carretti di tutti i tipi, per il mercato.

 

Lasciavano i cavalli e le loro cose nelle osterie, negli alberghi, negli stallazzi, nelle trattorie:
          l'albergo della Corona con otto stanze e l'acqua calda e un po' di cimici;

l'albergo del Gallo dove il cameriere parlava il francese;
l'albergo di San Giorgio, profumato di salame, nei tempi passati pieno di generali

piemontesi sciocchi e di caporali italiani;
la trattoria della Speranza con un bicchiere di vino nostrano;
la buona tavola del Milani (e da lì non venivi fuori più);
l'osteria dei Servi una volta nascosta là in fondo quasi sul Lambro;
la Crocetta per sedersi quando le gambe erano quelle del gambero;
la Rosa, in mezzo ad una massa di gente di ogni categoria sociale;
il Pozzo, con quei bicchieroni da far diventare rosso il nasone
in mezzo alla faccia di scimmia;
il Cantinone, per andare a caccia di un piattino furbo;
il Demetrio su quattro metri quadrati di vera amicizia.

Oh rione dei Gozzi! bèi tempi passati dalla Pallavicina dal Borgo Ratti al Sangregorio:
la parola era vangelo aperto sull'altare!

Un mare di lavoro senza troppi disturbatori!

Oh benedetta regola della società melegnanese:
con i soldi si comandava, con la povertà si stava ammansiti!

E tutto arrivava sul mercato di Melegnano
commosso per le storie dei fittavoli e dei contadini.

Al Casarino, dopo la chiacchierata della piazza e gli affari del fieno, dell'erba,

dei cavalli e dei buoi, i ricchi della campagna, secchi secchi, divoravano la risottata

e un intingolone nella mucchiata di carne e di patate cosparsa di barbera.

Per tutto lo Stato lombardo c’era un profumo di lesso, un odorino di arrosto.

Siamo a posto! La trappola e' scattata; tutti quelli del borgo
hanno fatto la stessa cosa: sono diventati gozzi anche quelli
che prima rosicchiavano le ossa!

 

I Rioni storici : visti dallo storico e poeta dialettale

                    Don Cesare Amelli.

Fonte : www.melegnano.net